Scuola di poesia

Sono di una generazione che ha  dovuto imparare a memoria una quantità di poesie, fino alle scuole superiori.
Ed è vero che fra queste c’erano Leopardi, Foscolo o Dante,  le cui parole ancora mi fanno compagnia o mi vengono alle labbra in certe situazioni, ma la maggior parte delle volte erano lunghe e noiose composizioni in rima, dal ritmo monotono, molto
parapà parapà pappappero
 o
taratatira tatira tarara,
tarara tarara tatà.

E parole astruse, scelte fra le più dotte e incomprensibili, come se essere poeti volesse dire esibire parole speciali, che dovevano nobilitare, con la loro rarità, il componimento.
Chilometri di Carducci, Alfieri, Parini…
Insomma se me lo avessero chiesto non avrei detto davvero che amavo la poesia.
Ad anni di distanza nella mia libreria c’é un lungo scaffale di libri di poesia e in doppia fila: come é successo?
E’ stata opera di un uomo di scuola intelligente, colto e e generoso, il preside che celebrava la primavera con Beethoven (vedi post)
Un giorno mi arrivò un invito ad andare negli uffici della presidenza per un incontro con il Preside: inquietante!!!
E per di più l’invito era per il sabato pomeriggio!
Per me che passavo i fine settimana nella noia del collegio semivuoto perché le mie compagne andavano a casa era comunque una buona cosa, almeno diversa e le suore non potevano opporsi all’autorità del Preside.
Così ci sono andata, ci ho trovato qualche compagno delle ultime classi come me e nel nostro massimo stupore il Preside trasformato in un ospite che accoglie gli amici, ci offre una gustosa merenda, bibite, i comodi divani del salotto di presidenza e poi ci invita ad ascoltare
Era Garcia Lorca,  il Lamento per la morte di Ignacio letto da Arnoldo Foà,
Un universo spalancato all’improvviso davanti ai miei piedi, un vero pugno in faccia.
E poi la stranezza  di esprimere i nostri pensieri, le nostre emozioni con lui, IL PRESIDE, come se fossimo suoi amici, alla pari.
Ci aiutava a farci un’opinione anche con le informazioni che noi non avevamo, ma senza pedanteria.
Seguirono altri sabati, con Paul Eluard, con W.Whitman, con Apollinaire,  con tanti dei grandi contemporanei- erano gli ultimi anni ’50- insomma una vera scuola di quella poesia alla quale la nostra classe non sarebbe mai arrivata col programma che se andava bene riusciva a buttare un occhio su D’Annunzio.. che in quanto a prosopopea era perfettamente in linea con i roboanti Carducci-Alfieri etc.
Invece noi “eletti” scoprivamo che esistevano poeti che parlavano con le parole anche nostre delle emozioni e delle idee anche nostre.
Questi poeti contemporanei ci restituivano la nostra esperienza trasformata in qualcosa di universale, trasfigurata dall’uso colto e raffinato  della parola e del ritmo.
Insomma quell’educatore generoso e intelligente, nel suo tempo e a sue spese, mi ha regalato la capacità di essere curiosa nei confronti della poesia, la possibilità di godermela (e a volte anche di rifiutarla).
Una rivelazione che ancora oggi mi fa compagnia

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