a Vincenzo Consolo

bru001.jpgA Vincenzo Consolo oltre alla gioia della lettura delle sue opere devo un grazie per Pantalica.

Se non avessi letto questo nome nel titolo di un suo libro “Le pietre di Pantalica”, quando lo vidi su di una freccia segnaletica in Sicilia non l’ avrei seguita e non avrei visto un posto dalla bellezza, dalla suggestione, dall’atmosfera tali che hanno lasciato in me un segno indelebile.

Pantalica non si vede finché non ci si addentra, lungo un sentiero solitario. Intanto come spesso accade la città dei morti é rimasta, mentre praticamente niente resta della città dei vivi e sì che la civiltà di Pantalica é vissuta secoli , millenni.

Il sentiero scende dall’altopiano in  una gola stretta, quasi una incisione, in fondo alla quale scorre l’Anapo, il fiume il cui nome significa invisibile e infatti si fatica a vederlo, tanto é stretta e profonda la gola.

Non si vede l’Anapo, ma si sente: é l’unica presenza nel silenzio totale della necropoli.

Si cammina avvolti nel suono  torrenziale del fiume, che diventa sempre più presente, fino a diventare una vibrazione avvertibile sulla pelle che ci  avvolge quando raggiungiamo il greto del fiume.

E per arrivare qui in fondo abbiamo camminato in mezzo a centinaia, migliaia di tombe scavate nella parete rocciosa, scendendo lungo la parete verticale traforata di tombe, fra cespugli fioriti di erbe profumate, con lo sguardo imprigionato dentro a questo canyon che da una parte e dall’altra é tutto costellato dai neri occhi delle aperture delle tombe, quasi una simbolica discesa all’Ade.

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