Per il giorno della memoria

Dalla mia memoria, Forlì, 1959.
In città compaiono svastiche sui muri; grande scandalo sui giornali, polemiche in città.
Nel mio collegio praticamente nessuno sa cosa significhi quello che sta accadendo: eppure sono passati così pochi anni…
La mia compagna di studio, liceale, fa del sarcasmo sul perché di tutto questo rumore “ in fondo per un disegno!”
Non sa cosa significhi e nemmeno come sia fatta allora glielo spiego, disegnando sul margine della pagina del testo di storia della filosofia, l’Abbagnano sul quale sto studiando, la svastica della quale si discute.
Il giorno dopo, in classe,  Istituto magistrale, 3° anno, il professore di filosofia si fa prestare, come succede spesso dato che sto al primo banco e sono una sua affezionata, il mio testo.
Dopo averlo aperto sbianca… mi chiede ragione del disegno di svastica che è ancora lì, che ho dimenticato di cancellare. Racconto come è stato.
Allora si rivolge alla classe e chiede se tutti nella stessa situazione sarebbero stati in grado di spiegare il significato e la gravità della comparsa delle svastiche sui muri.
Quasi nessuno ne sa niente!

Allora il professore Alfredo Azzaroni  (mi pare giusto ricordarne il nome) ci propone di dedicare parte delle nostre lezioni settimanali alla lettura di un testo che ci faccia capire che cosa sono stati il nazismo e il fascismo e cosa i campi di sterminio……
Comincia così una serie di lezioni durante le quali si legge, di seguito, il libro di Piero Caleffi “Si fa presto a dire fame
E’ il diario dell’esperienza vissuta da Caleffi nel campo di concentramento attraverso tutto l’orrore fino alla liberazione.
Al sopraggiungere degli alleati Caleffi fugge per correre nel prato di là del recinto che tanto a lungo ha guardato sognando la libertà .
Io ero il lettore ad alta voce: ricordo che qualche volta ho faticato a proseguire, con la voce rotta dall’emozione.
Il professore ci aveva spiegato che aveva scelto quel libro perché, nonostante l’esperienza terribile fosse stata vissuta direttamente dall’autore, questi aveva saputo raccontarla senza una sola parola di odio e di vendetta.
Era vero, non c’era una sola parola di odio, bastavano i fatti raccontati con lucidità, a condannare e a insegnarci cosa pensare di quei fatti e cosa pensare di quei “disegni“ apparsi sui muri della nostra città.
Non mi ricordo che ci siano state grosse discussioni sul testo: bastava da sé.

A margine: questo avveniva in un istituto magistrale statale tradizionale, un po’ bigotto,  in un tempo in cui  veniva controllato (e nel caso censurato) l’abbigliamento delle alunne e praticamente proibito il rossetto, ma c’era posto per insegnanti seri, coraggiosi e intraprendenti.
A margine ancora: non so come ho saputo  che anche lui aveva avuto esperienza del fascismo e delle persecuzioni… veniva a scuola con l’Avanti che sporgeva  dalla tasca e questo era a quel tempo un comportamento non solo fuori dagli schemi, ma anche coraggioso e non immune da rischi.

Le scarpe

nonnapasqua_1.jpgNelle foto dei miei nonni e in quelle della gente povera del primo novecento  mi riempiono di tenerezza  le scarpe.

Andare dal fotografo in studio era un evento. Le foto costavano  e dunque  venivano riservate a  occasioni particolari  come il matrimonio, il militare, la cresima….
La motivazione di questa foto era l’informazione: mia nonna  doveva far sapere al marito, in America da qualche anno, come stavano lei e i loro figli.

Allora ha tirato a lucido i bambini,  ha spazzolato i capelli della mia mamma, quella più grande. Tutti si sono messi  i vestiti migliori e  si sono fatti una camminata fino in paese, dal fotografo che li ha messi in posa.

La mia nonna non sorride, ha l’aria severa, un po’  per carattere ( era una tosta!)  e forse anche un po’ per imbarazzo.

Mi colpisce un particolare che ho ritrovato in tante foto di quel tempo e di quel tipo di gente: le scarpe.
Mentre tutto il resto è stato tirato a lucido e mostrato al meglio alle scarpe non si poteva fare niente, quelle erano!
Le scarpe sono sciupate, scalcagnate….mal messe.

Tiravano a lucido quello che si poteva, di vestiti  almeno uno decente magari lo avevano, i capelli  si potevano acconciare con garbo… ma le scarpe erano così costose che  era tanto se ne avevano un solo paio, quello appunto.

Profumi

Da un trasloco nascono spesso strappi muscolari e ulcere, ma capita anche di fare piacevoli ri-scoperte.
Da un trasloco appunto, svuotando fino in fondo un cassetto , sono venuti fuori vecchi flaconi del mio profumo preferito… molti anni fa;           non uscivo senza e l’ho abbandonato solo quando non è stato più possibile trovarlo, neanche in Inghilterra.

maryquant

L’etichetta è Mary Quant, la famosissima che non faceva solo minigonne in bianco e nero.
Ancora si riesce a sentire un’ombra della fragranza.
Profumi come ricordi…

Roma, fine anni settanta,  mattino domenicale di tarda primavera,  sole stupendo e aria tiepida, in giro pochissima gente.

Il barista chiacchiera con un amico e si lamenta di dover lavorare in una giornata così adatta alla spiaggia mentre io e la mia amica, abbondantemente profumate Mary Quant ci avviciniamo al bancone.
Il barista “…. guarda , ho una tale voglia di mare che arrivo ad avere le allucinazioni: pensa che  non ci crederai, ma mi pare persino di sentire l’odore del mare…”
L’amico “Oddio a dire la verità mi pare di sentirlo anche a me!”

Si guardano un po’ straniti e anche io e Maddalena ci guardiamo: noi lo sappiamo che è il nostro profumo a sapere di mare.
Con un cenno impercettibile ci accordiamo: li lasceremo credere alla potenza evocatrice del loro desiderio.