Aveva il cranio raso..

Come canta Guccini in Amerigo quando l’ho conosciuto anche lui  “aveva il cranio raso” ed era stato in America a Buenos Aires a cercare il modo di far sopravvivere la famiglia che aveva lasciato in Italia.

Era mio nonno.

Dalle trincee del Pasubio, ragazzo del ’99, soldato a meno di vent’anni,  era passato poco dopo al vapore che lo portò in Argentina per lavorare a Buenos Aires per poter far vivere la sua famiglia.

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Davvero l’Italia di allora non era generosa verso i suoi reduci salvo che di enfatiche lapidi in memoria.

Non raccontava mai dei suoi anni laggiù mentre raccontava volentieri della guerra , del Pasubio, anche sorridendo.

Ci ha fatti ridere tutti inventando allegre storie di avventure su un aereo chiamato Picchiatello, come quella che raccontava di quando, attraversando un branco di anatre selvatiche, allungò un braccio e riuscì ad afferrare le zampe, solo quelle…

Quando l’ho conosciuto lavorava al cementificio, che lì si chiamava “e fabrecc”  cioè “la fabbrica” per antonomasia. Spalava la breccia giù al fiume, una mansione davvero pesante.

Alla sera tornava stanco e impolverato, in estate si lavava con l’acqua tirata dal pozzo e messa a scaldare al sole durante il giorno.

Una volta pulito e cambiato raccoglieva dall’orto un rametto di basilico o di erba Luisa, insomma un rametto di erbe profumate e se lo metteva sull’orecchio.Un vezzo che per gli uomini della sua cultura e generazione non era considerato né originale né strano, ma piuttosto abituale.

Era solo il tocco finale della sua “toilette” compiuto il quale inforcava la bici e andava a fare una partita a bocce all’osteria vicina.

Era analfabeta, ma sapeva fare la sua firma che eseguiva come un disegno. Glielo aveva insegnato l’altro nonno,quello anarchico perché all’occorrenza non dovesse subire l’umiliazione di dover firmare con la croce.

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Per gli anarchici di allora era  un dovere insegnare agli analfabeti a scrivere e leggere o almeno a firmare, faceva parte del loro un impegno politico.

Questo nonno era conosciuto con un soprannome, Gela, di cui non sapeva o non ha voluto raccontarmi l’origine, ma era diventato così legato al suo nome che il figlio lo ha ereditato e addirittura ce lo ha sulla lapide, e lo distingueva come e più di un vero proprio cognome.

Quando ho dato l’esame di concorso magistrale affrontò il viaggio nonostante la sua difficoltà a lasciare la sua casa e a viaggiare.

Tornando a casa dalla prova orale, vincitrice col massimo dei voti, gli raccontai che ero stata interrogata  sulla Grande Guerra quella che lui aveva combattuto.

Avevo raccontato un episodio, della battaglia della Bainsizza che mi aveva raccontato lui e io avevo poi detto che la fonte era un testimone diretto, il mio nonno.

Era contento, si sentiva un po’ artefice della mia vittoria.

Percezioni extrasensoriali

Se me lo raccontassero io direi: ” non ci credo”  ma é successo,  e proprio a me, non a un mio amico che me l’ha raccontato.
Siamo sul prato della scuola, i ragazzi giocano, io e due colleghe li teniamo d’occhio, chiacchierando di piccole cose.
Ad un certo punto M. mi dice “Com’é che si chiama quel…”
e io senza assolutamente farla finire, senza neanche che dicesse quel che cosa mi sono trovata a rispondere “Satie”
Sono sorpresa del nome, che mi é uscito di bocca mio malgrado; M. ,credo, é stupita e non sa come prendere la mia risposta che precede la domanda.
Poi un silenzio imbarazzato, e tutti che fanno finta di niente.
Ci sono voluti anni perché riuscissimo a parlarne.
Insomma era vero, lei mi voleva chiedere come si chiamava quel musicista particolare, non certo popolare, che ha scritto tanta musica strana, spesso ironica e molto di avanguardia per l’inizio novecento e io che, senza sapere che cosa voleva sapere, lo sapevo.
Non penso di saper spiegare la cosa, neanche adesso a tanti anni di distanza e in fondo me ne importa abbastanza poco.
Quello che é certo é che era  il segno di una intesa molto speciale che ha dato come frutto un’amicizia solida, che sa di poter contare anche sulla possibilità di trovare risposte alle domande non fatte.