l’occhio di dio

 

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Questo oggetto é in casa mia da circa 30 anni, arrivato  da molto lontano sia nel tempo che nello spazio.
Alla fine degli anni ’70 nella mia città arrivarono alcuni ragazzi provenienti da vari paesi del Sud America che erano inviati dalla OSA – organizzazione degli stati americani – ad imparare attività artigianali come la pelletteria e la ceramica, che avrebbero poi proseguito nel loro paese al rientro.
All’epoca non era ancora cominciata l’emigrazione in Italia e la presenza di questi stranieri era motivo di curiosità e di interesse e la gente di questa cittadina della provincia marchigiana era verso di loro molto generosa ed ospitale.
Anche io.
Alcuni di loro divennero di casa e quando con il passare dei mesi l’autunno si rivelò troppo freddo per questi abitanti dei tropici furono saccheggiati i nostri armadi per dare loro giacche, golf e coperte.
Nel frattempo si era scoperto che il contributo che ricevevano dalla OSA era quasi esattamente quello che dovevano all’associazione che li ospitava (qualcuno aveva fiutato l’affare) e insomma avevano bisogno di aiuto, anche di denaro.
Furono molto grati di ogni cosa e per un po’ di tempo al loro ritorno in America ci siamo scambiati una corrispondenza che via via é diventata più rada fino a cessare.
Dopo qualche anno,quando ormai li ricordavo appena, ricevetti un pacchetto strano, che proveniva dal Messico.
Conteneva questo bellissimo oggetto, accompagnato da una lettera di Teresa, una deliziosa ceramista messicana, che mi raccontava che cosa era e perché me lo spediva.
Teresa diceva di essere una india huicholes, una tribù che ha una cultura, una religione e un’arte tutte particolari.

Una delle espressioni di questa popolazione é l’occhio del dio (di cui purtroppo non ho ritrovato il nome) e rappresenta lo sguardo che rivolge, benevolo, all’umanità.
La tradizione vuole che quando nasce un bambino il padre inizi la costruzione di un “occhio” e aggiunga un giro di un altro colore ad ogni anno di età del bambino, fino ai cinque anni. Si possono costruire mettendoci un intento una preghiera o un augurio.

 

Gods-Eye.jpgEra con questo scopo che Teresa me lo mandava perché mi ricordava e ricordava l’aiuto che aveva rievuto e voleva augurarci tutto il bene possibile.
Insomma ho ricevuto un grazie che non mi aspettavo sotto la forma di un rituale antico e lontano, una splendida sorpresa.
Da allora l‘occhio del dio degli Huicholes guarda quello che succede in casa nostra e fa del suo meglio, anche lui, perché ce la caviamo.

ricordando in cucina 2

in cucina 2.JPGAncora un tour fra i souvenir di uso comune in cucina:
i vasi bianchi dalla linea così pura e moderna sono opera di un vecchio “cocciaro”,  cioè vasaio, pugliese.
Lo incontravo ogni volta che andavo a Monte S.Angelo, luogo al cui fascino non riusciamo a resistere ogni volta che ci troviamo da quelle parti ( che per noi può essere anche a 150 chilometri di distanza..)
Ogni volta ne compravo qualcuno e lui mi decantava la grande qualità dei suoi vasi per la conservazione delle olive… io li compravo perché sono così belli ed eleganti… poi li uso anche, come si vede.
Da qualche anno a Monte S.Angelo non lo trovo più .. spero che sia perché ha cambiato mestiere ..
E gli attrezzi di legno da cucina sono il ricordo di innumerevoli luoghi, da  Assisi a Pietrapertosa in Basilicata, dalla Croazia alla fiera di Portico di Romagna e ancora ancora…
I due vasetti di coccio a destra vengono da Gand, in Belgio. Contenevano senape artigianale, fatta in una bottega dove, come dice la data incisa sul più piccolo, si fa senape dal 1790.
Il gestore con un enorme mestolo tirava su la salsa da un grande tino e con un gesto elegante e preciso, senza imbuti, riusciva a fare cadere la senape dentro i vasetti, senza sbavature, chissà se lo faceva dal…1790
Io gli passavo un vasetto dietro l’altro per godermi la bellezza del gesto. Sono poi diventati souvenir per gli amici e per me, una volta vuotati, dei contenitori di spezie.

La ciotola con il limone e il barattolo col coperchio, pieno di sale grosso, vengono da Carnac, in Bretagna, una sosta in città, fra un campo di menhir e l’altro.
E quella con i bellissimi disegni azzurri é tunisina, frutto di un viaggio non mio, ma di un’amica che conosce la mia passione per souvenir utili.