buon sangue

Fino a qualche tempo fa non avevo mai  considerato che le nostre figlie hanno come ascendenti della gente mica qualunque.
Dalla parte materna un bisnonno anarchico nonni SanteCopier.jpeg  fervente  e un nonno che a 17 anni era considerato un sovversivo  e come tale arrestato.

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Da parte di padre un nonno che per il suo rifiuto del fascismo fu costretto con la sua famiglia ad una dignitosa ma durissima miseria e lui, con due lauree in matematica e statistica, costretto a sfamare i suoi con le lezioni private perché estromesso dall’insegnamento…
Una notevole affinità si potrebbe pensare, ma non é esattamente così.

                               

Si, due famiglie antifasciste, solo che, mentre dalla parte materna erano anarchici e socialisti dunque dei mangiapreti in conclusione, il nonno paterno fu un cattolico e un credente così fervente che si fece notare negativamente dal fascismo prima dei patti Lateranensi, quando il fascismo ostentava un anticlericalismo violento (come era nel suo stile altroché storie)

da http://seieditrice.com/chiaroscuro/files/2010/03/V3_U4-ipertestoB.pdf

Ai suoi inizi, anche il movimento di Mussolini fu severamente cri-
ticato dalla Chiesa, dal momento che era apertamente anticlericale
e ostile alla Chiesa (il programma di San Sepolcro del 1919, mi-
nacciava il sequestro dei beni delle congregazioni religiose).
Inoltre, negli anni 1921-1922, lo squadrismo fascista colpì con la sua
violenza brutale le organizzazioni e le leghe bianche (=cattoliche) non meno di quelle rosse , e nel 1923 fu assassinato a bastonate per-
sino un sacerdote, don Giovanni Minzoni. Il primo giudizio della Chiesa dunque, fu duro:
«Il fascismo – scrisse la “Civiltà cattolica” nel 1922 – ha lo spirito di
violenza del socialismo, a cui pretende di rimediare, imitandone
non solo, ma superandone ben anche le prepotenze, le uccisioni,
le barbarie». La valutazione iniziò a modificarsi dopo che il fasci-
so andò al potere …… che sfociò nella firma degli accordi
del Laterano dell’11 febbraio 1929

Gambì.jpegIl nonno Arnaldo, una persona esile, minuta, uno sguardo sempre dolce e ironico, una pazienza infinita sostenuta da una ironia sottile ma acuta… quando si trattava dei princìpi diventava non solo duro, ma tagliente.
All’amico che da parte del padre, gli suggeriva di prendere questa tessera del partito che gli avrebbe consentito di lavorare nella scuola rispose “Dite a mio padre che pensasse per sé” una risposta che ai suoi tempi, quando ai genitori si dava del Voi, era quasi una bestemmia.
Insomma remissivo e paziente, ma indomito se si trattava della sua fede e dei suoi princìpi.
Rischiò le botte cui sfuggì per poco, e non si nascondeva, sempre presente alle processioni e alle manifestazioni cattoliche.
E quando la chiesa ritenne vantaggioso, opportuno, non posso dire giusto, accordarsi col fascismo lui tenne duro e non prese la tessera e così continuò a tirare la cinghia e a faticare sul tavolino dello studio…
Cito dalle cronache locali:
Nel 1944 fece parte del Comitato di Liberazione Nazionale della Vallesina che, all’indomani della liberazione, il 21 luglio del 1944, lo chiamò a far parte della prima giunta comunale provvisoria, diretta dal sindaco Pacifico Carotti, quale assessore  Dal 1948 al 1955 ricoprì la carica di presidente del Comitato Civico. Venne eletto consigliere comunale, per la Democrazia Cristiana, nelle “amministrative” del 1951 e del 1956. 
Dopo la guerra, caduto il fascismo, come insegnante Arnaldo Bellagamba “non aveva però, chi gli rendesse giustizia degli anni perduti”. 
Non era stato un combattente (!!!) non aveva impugnato le armi, insomma non ebbe diritto ad alcun riconoscimento e dovette arrabattarsi anche dopo un infarto a salire le scale del locale Liceo perché la pensione per lui era rimasta lontana.
Anche la política lo lasciò indietro, forse un po’ infastidita dalla sua intransigenza.
Alla sua morte i manifesti a decine proclamavano il lutto per tanta perdita… e i suoi amici iniziarono persino a lavorare  per l’iter di beatificazione.

manifsti nonno002 copia.jpgGli hanno intitolato una strada, una sala riunioni, uno spazio in parrocchia, un gruppo scout, quello che aveva fondato e poi sciolto per non lasciarlo in mano ai fascisti.
E poi chi l’ha conosciuto lo ricorda con rispetto e affetto.
Insomma ha lasciato ampia eredità di affetti ma per noi é nonno Arnaldo, a cui pensiamo spesso, a volte per ragionare su quello che succede e domandarci se lui fosse qui cosa farebbe.

Ecco,  due nonni: uno antifascista di sinistra l’altro cattolico: una bella mescola per le nostre figlie se davvero buon sangue non mente.

tassista… nel far west

220px-1960_Fiat_Multipla_taxi_Roma.jpgDire  taxi oggi fa pensare ad un modo di spostarsi  in città comodo ma non economico, un piccolo lusso insomma.
Negli anni passati nei piccoli centri fuori mano, specie quelli persi fra gli Appennini, il taxi, anzi la macchina di piazza, era semplicemente un servizio pubblico essenziale.
Pochi avevano l’auto e gli uffici e i servizi  erano spesso dislocati nei centri più grandi così se dovevi andare all’ospedale, a fare una visita, a sistemare una faccenda legale, a consultare uno bravo, all’ufficio del…, ti dovevi spostare e spesso non si poteva andare con la corriera per motivi di orario o di itinerario.
Allora si andava dall’autista di piazza, si concordava il prezzo e l’orario e poi si andava.
Nei posti più piccoli il tassinaro di solito lo faceva per secondo o anche terzo mestiere; magari aveva un negozio, una bottega che poteva affidare a qualcuno intanto che lui faceva il servizio e contemporaneamente magari spicciava faccende affidategli dai paesani, consegnava pacchi, messaggi..
Il  tassista che ho conosciuto da vicino, quello che da Monterosso Stazione mi portava a Monterosso paese, faceva anche il macellaio e gestiva una specie di emporio del far west dove si potevano trovare sementi, lampadine, mortadella, pasta, stoffa per grembiali…220px-FiatT1Taxi1921.jpg e anche materiale edile!
Una mattina ero partita dalla mia città verso la costa che era tempo buono, ma già a Fabriano il paesaggio era tutto bianco.
Arrivata a Monterosso Staz. il mio tassista era lì pronto e questo mi rassicurò.
“Signora salga che vengo fra un attimo”
Speriamo faccia presto, ci aspetta una manciata di chilometri di strada tortuosa, ripida, piena di curve e con il fondo ghiacciato….
Spalancata la porta dell’osteria, piuttosto frequentata dato che gli operai non avevano potuto andare al lavoro, grida:
“La maestra é arrivata, ‘nnamo!!”
E tre pezzi d’uomo si alzano e salgono sul sedile posteriore del nostro tassì.
Io sono un po’ malfidata, il costo del tassì é piuttosto elevato e non ho intenzione di far viaggiare a sbafo gli amici del mio autista.
Allora dico “Questi signori devono andare a Monterosso anche loro?”
E lui ” No, ma se non vengono con noi nemmeno noi ci andiamo a Monterosso”
E allora capisco: sono stati invitati a fare da zavorra e al caso, da forti braccia nel caso i dovessimo restare bloccati.

A scuola ero una maestra che conosceva il suo mestiere, ma ero un’ingenua assoluta di vita in montagna.

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una maestra nel far west

Le linee ferroviarie secondarie in una regione come le Marche stanno scomparendo lasciando una scia di proteste e in me una grande malinconia.

Infatti io ne ho conosciuta una, la Fabriano Pergola che è stata chiusa nel 2011 e per fortuna e in piccola parte riaperta nel 2012. Quando ancora era lei, come si dice, ogni giorno arrivavo a Fabriano dalla mia città e qui prendevo la “coincidenza” per Monterosso. Su youtube hanno postato l’intero percorso…

Ogni mattina scendevo di corsa dal mio treno, correvo verso il trenino e via verso Monterosso dove mi aspettava il taxi che poi mi avrebbe portato alla scuolina, 10 km più su (ma questa é un’altra storia, raccontata qui).

lug2003-940006-090603coxx.jpgUna mattina d’inverno, con il paesaggio imbiancato scendo e … il marciapiede del trenino é vuoto…!

Il capostazione mi guarda, si dà una manata sulla fronte ed esclama “Porcatr…  ci siamo scordati la maestra!”  Siccome il mio treno era in ritardo avevano dato il via libera al trenino…

Dramma, io non so che fare e lui  ” Che giorno é? Mercoledì? Siamo salvi, c’è il postale!”Insomma sono salita sul postale su un carro senza sedili, fra i pacchi, con l’addetto che in punti prestabiliti  al rallentamento o alla fermata del treno lanciava fuori i pacchi.

Le pareti interne del vagone erano coperte di uno strato di ghiaccio e io seduta su una cassa cercavo di scaldarmi a una stufetta a legna sistemata in un angolo. Avevano avvisato la Stazione di Monterosso del ritardo e il mio tassista aspettava.

Sono arrivata in ritardo a scuola, io ero disperata, confusa e mi sentivo in colpa, gli alunni e la bidella invece erano preoccupati per me e la mia salute… Che gente meravigliosa.

Alla sera a casa piangevo disperata con mio marito che, dall’alto del suo atteggiamento zen verso tutto mi consolava così:

” Pensa quando lo racconterai ai nipoti: mi ricordo quando viaggiavo sui postali”  detto con la voce chioccia del vecchietto dei western…

Ed é quello che sto facendo.

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