quelle speranze

Estate del 1970 o giù di lì, cambia poco.
Appennino umbro-marchigiano un gruppo di ragazze dell’AGI (Associazione Guide Italiane) la versione femminile degli scout che, dati i tempi, erano rigidamente separati per sesso.
Sono le Scolte, ragazze fra i 15 e i 19-20 anni e stanno vivendo la loro Route annuale, cioè un percorso a piedi portandosi l’essenziale sulle spalle, in una “strada” fatta di fatica, comunità e riflessioni.
E’ quasi sera quando si arriva –  per fermarsi per la notte –  a Campodonico, un pugno di case in una valle che anticamente è stata un percorso importante.

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Adesso, nel 1970 dicevamo, è un posto dimenticato che soffre dell’abbandono delle campagne che è in pieno svolgimento. Gli abitanti rimasti sono pochissimi e anziani. Quando arrivano le ragazze sono appena rientrate negli stazzi le pecore, principale risorsa degli abitanti residui e le vie del paesino sono coperte dai loro escrementi.

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Le ragazze, fedeli al motto scout  che recita “lascia ogni luogo meglio di come lo hai trovato” danno di piglio a delle ramazze trovate nei locali della parrocchia vuota ma aperta per loro e spazzano le strade in allegria.
C’è ancora aperta una piccola osteria davanti alla quale sono seduti alcuni abitanti che guardano silenziosi e poi
” E brave, brave! Avete pulito Campodonico! E domani sera, a quest’ora, voi sarete nelle vostre belle città e noi di Campodonico qui, con la solita merda”

Uno schiaffo in pieno viso.
Le ragazze sono sconcertate, dispiaciute, non capiscono…
A quei tempi  la contestazione ancora non era arrivata qui nelle campagne marchigiane, ma cominciava ad avvertirsi, e l’AGI era percorsa da fermenti vivacissimi e soprattutto aveva come atteggiamento di fondo quello di “lasciarsi interrogare” dalle situazioni e dalle cose, credeva nella condivisione con i poveri e i semplici secondo l’esempio di Francesco e faceva attività più rivolte al sociale e all’incontro con gli altri che alle tecniche di vita all’aperto.

22090407.jpgNell’amore e nel rispetto per l’ambiente assieme a quello naturale c’era anche, e forse soprattutto, quello umano e sociale. Si è dormito poco e tardi quella notte a Campodonico e il giorno dopo, ripartendo il gruppo si porta dietro il peso delle riflessioni della notte e del senso quasi di colpa nei confronti delle persone incontrate che forse sono state offese dalla superficialità del comportamento più figlio dell’entusiasmo che della riflessione… insomma un po’ irresponsabile.

 

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Non la farò lunga: discussioni a livello regionale, assemblee, discussioni, ancora discussioni e poi una decisione:

“Torneremo a Campodonico per restare”.
Per circa due anni Campodonico fu il perno delle attività dell’AGI regionale. San Giorgio, vacanze di gruppo, campeggi, route regionali, tutte qui e nei dintorni.

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E, soprattutto, ogni fine settimana un gruppo piccolo di tre quattro ragazze raggiungeva Campodonico dove era stata affittata una casa e si partecipava alla vita del paese, si andava nelle case a fare compagnia alle persone, ad aiutare a stirare e a fare le faccende alle casalinghe, si sbrigavano pratiche burocratiche, nei locali parrocchiali si faceva doposcuola e attività ricreative… E celebrazioni eucaristiche (grazie agli assistenti religiosi che ogni tanto venivano con noi), molto  attese dalla popolazione che vedeva il sacerdote solo alla domenica e di fretta.

Insomma animazione della vita del paese, ma soprattutto condivisione.
E a Campodonico alla sera dopo il rientro delle pecore tutti  insieme pulivano la strada.

Ricordo la festa per il San Giorgio del 1971.

Assieme alla festa di tutta l’Associazione delle Guide marchigiane la gente del paese aveva organizzato per noi anche una loro festa. C’erano organettari, piccoli gruppi di suonatori  e poi erano convenuti dai dintorni i poeti cosiddetti “a braccio”, poeti  pastori in ottava rima che, mettendosi uno diffronte all’altro come due lottatori, si sfidavano nell’inventare ottave rimate su argomenti di attualità, il primo lanciava e l’altro rispondeva, un vero duello i cui giudici erano gli astanti che applaudivano o criticavano…  era importante la prontezza della risposta, la correttezza della rima, la ricchezza del vocabolario.

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Campodonico, intorno al  1955 (i costumi erano autentici, gli abiti della festa, non folklore)

Ed erano poeti insieme coltissimi e semianalfabeti e soprattutto montanari autentici, dall’aspetto molto rustico.
Si andò avanti fin quasi a mattina con le donne del paese che portavano vassoi di dolcetti, salumi e fiaschi di vino.
Poi non c’era più nessuno ormai e  il cielo  cominciava a schiarire così ho rinunciato ad andare a dormire e ho aspettato il giorno sui gradini della chiesa.
Non mi capita spesso di passare di lì ma ogni tanto ci vado apposta, non conosco più nessuno, anche solo guardare mi fa tornare con un  po’ di emozione a quell’entusiasmo, a quell’utopia, a quelle speranze.

 

Nota: solo la foto delle ragazze che dormono nei loro sacchi a pelo residuati bellici è mia, le altre più antiche e bellissime le ho “rubate” ad Antonella Sagramola che le ha raccolte e pubblicate anche su Panoramio salvandole meritoriamente dall’oblio.

4 pensieri riguardo “quelle speranze”

  1. ero una che c’era, anche se non potevo stare a Campodonico dato che avevo già due figlie piccole, Bruna Bellagamba, Capo Cerchio di Jesi 1°…
    Allegre utopiste sì, ma insieme persone serie che facevano uno scoutismo di frontiera, con allegria ma anche onestà e consapevolezza, tanto da prendere sul serio un commento come quello che si sarebbe in fondo potuto ignorare e gettare dietro le spalle. Invece… e tu chi sei?

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