Nella ormai lunga e passata esperienza di maestra ho partecipato a una quantità di corsi di formazione, come allieva e anche come conduttore.
Di tanti non ho più memoria, di alcuni qualche cosa.
Ma uno mi ha lasciato un ricordo vivissimo per la sua esemplare efficacia ma anche perché anziché una risposta mi ha proposto un dubbio, un interrogativo che non sono mai riuscita a sciogliere.
Durante una serie di seminari sulla musica e il canto (con l’associazione di cui ho raccontato qui) il conduttore ci propose questa attività:
a turno ognuno di noi faceva il direttore del coro che era formato dai compagni di corso.
Si doveva “dirigere” l’attacco poi, a piacere, l’andamento in crescendo, in diminuendo anche ripetendosi e quindi la chiusa di una “musica” costituita dalle voci dei coristi che potevano dire o cantare quello che volevano, ma rispettando le indicazioni del “direttore”.
Alla fine di ogni esecuzione veniva chiesto ai coristi come si erano trovati, se erano stati o meno a proprio agio, come valutavano la direzione di quel “maestro del coro”.
Fare il direttore era un momento abbastanza difficile: in piedi, solo, di fronte a tutti i compagni seduti a semicerchio, tutta l’attenzione concentrata su di sé e doversi inventare un modo di dirigere un brano inesistente…
Si è visto di tutto, ovviamente: c’era chi timidamente faceva qualche gesto vago, quasi di nascosto, c’era chi era molto perentorio e cercava di far eseguire al coro assurde proposte di evoluzioni sonore con cambiamenti impossibili e troppo repentini, chi dirigeva guardando solo da una parte e chi evitava di guardare del tutto i suoi “interlocutori”.
Dalla discussione veniva fuori che i direttori troppo timidi, che non si volevano o non si sapevano imporre generavano frustrazione e disagio, la gente si sentiva confusa, non sapeva cosa dovesse fare…
Qualcuno degli spavaldi, di quelli che facevano il “direttore” deciso e volitivo, provocavano un senso di fastidio, anche di ribellione, soprattutto se mettevano in difficoltà pretendendo passaggi scomodi e troppo repentini come per far vedere quanto erano bravi.
I direttori timidi, che cercavano di sfuggire gli sguardi venivano rimproverati “dalla mia parte non hai guardato mai!!!” “mi sono sentito ignorato”
Personalmente l’ho interpretata come la metafora e anche il catalogo
di tutta la gamma delle sfumature del rapporto insegnante-allievo, genitore-figlio, capo-sottoposto e anche governante e governato.
L’eterno dilemma fra la conduzione autoritaria del gruppo e quella non.
Non ho risolto il dilemma nemmeno con l’esercizio di conduzione del coro, ma di certo ho scoperto che guidare significa assumersi delle responsabilità soprattutto quella di condurre il gruppo verso un obiettivo.
Se, convinti così di farsi voler bene dal gruppo, si evita di dare indirizzi sicuri e fermi, si produce confusione e frustrazione.
Se si vuol portare il gruppo verso il proprio obiettivo e nel farlo si decide usando la prepotenza e la forza si sviluppa la ribellione.
Insomma se si sostituisce il proprio io a quello del gruppo si sbaglia.
Semplice no?
Sono andata in pensione e quello di come realizzare un rapporto professionale efficace ma non autoritario non è più il mio problema quotidiano, ma il dubbio resta.