Vacanza a Domo di Serra San Quirico, un minuscolo borgo fra montagna e collina, piccolo ma perfetto: mura, porte, persino una bella chiesa romanica il tutto in cima a un poggio e attorno campi e boschi…
Il primo “Primo Maggio” che passiamo lì è fonte di una grande sorpresa.
Fin dai giorni prima si nota una certa animazione e poi alla sera del 30 aprile l’uomo di casa nostra viene invitato in modo un po’ sibillino dagli uomini del paese…
Si va a prendere IL MAGGIO!
Come ho poi scoperto, in quella zona dove è ancora viva e praticata la tradizione dell’albero della nascita, è vivissima anche quella del piantare IL MAGGIO che sarebbe celebrare il ritorno della primavera della terra con una cerimonia di fecondazione rituale.
Insomma un rito che dalla profonda antichità preromana in tante zone d’Italia è ancora vivo e praticato, ma molti di questi riti sono diventati occasione di “feste” fasulle, per scopi turistici.
A me piace ricordare questo di Domo sia perché l’ho vissuto personalmente, sia perché era autentico, sentito dalla gente del posto e dedicato solo a loro stessi, semplice e profondo.
Per fare il maggio si sceglie un albero il più alto, bello e dritto che si possa trovare. La notte del 30 aprile lo si va a tagliare “di nascosto” e lo si “ruba”.
Ogni passaggio è regolamentato in modo preciso da una legislazione orale ma ferrea secondo la quale se il proprietario dell’albero si accorge prima che sia tagliato può opporsi, ma se arriva ad albero già abbattuto deve lasciar fare e aspettare che sia passato maggio per prendersi il legno che resta suo.
Vedo che adesso vanno a prendere l’albero con potenti trattori… quaranta anni fa lo legavano con le corde e lo trascinavano fino in paese dove erano in attesa tutte le persone che non potevano partecipare attivamente al rito ma solo assistervi: le donne!
L’albero veniva scortecciato e sfrondato lasciando solo in cima un ciuffo di rami e foglie.
Intanto era stata preparata una buca abbastanza stretta e molto profonda; la base dell’albero veniva poggiata sul bordo della buca e poi con una attenta regìa da parte di uno che la sapeva alcuni tiravano le corde per sollevare il tronco intanto che altri, con scale di lunghezze diverse lo sostenevano… un lavoro perfetto di squadra che si svolgeva fra grida e imprecazioni e risate fino a che all’improvviso il ritmo cambiava, diventava incalzante e ossessivo poi in un crescendo trionfale le grida giungevano al massimo finché accompagnato da un urlo possente della folla il tronco entrava nella sua sede e l’albero era perfettamente diritto lì in mezzo alla piazza.
Allora si levava un applauso liberatorio.
La simbologia fallica era evidente, ma era ancora più trasparente nelle battute della gente a proposito della fatica fatta per “metterlo dritto” e anche della lotta fra paesi vicini che tendevano agguati per abbattere il maggio degli altri… con conseguenti sfottò.
In cima all’albero c’era un tricolore, forse una contaminazione con l’albero della libertà francese…
Ma certo che l’origine di questo rito si perde là nell’antichità, quando eravamo ancora animisti e l’albero e la sua capacità di rinascita erano degni di venerazione.
PS. le foto che illustrano il post non sono mie, ho dovuto raccoglierle in giro sul web, che ringrazio!!!
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