Scherzando con gli amici cultori del romanico toscano avevo vantato il fatto che loro ne hanno tante e belle, ma una chiesa doppia ce l’avevamo solo noi. Arrivando dalla Valnerina, andando verso Norcia, compariva all’improvviso in cima a un poggetto, sullo sfondo del fianco della montagna verdissima e a mezza costa l’abitato di Campi con il magnifico loggiato della Chiesa (che non c’è più, nemmeno quello…).
Ci fermavamo quasi ogni volta, anche se era chiusa che comunque meritava una sosta e un momento di contemplazione. Anche l’ambiente attorno era davvero perfetto. Spesso la sosta era premiata anche da qualche ulteriore dono di bellezza: una volta il pastore col gregge che passava, un’altra volta la gara di ruzzola con le squadre che si sfidavano su per la strada.
Quella volta appena sbucati dalla curva abbiamo visto che la porta era aperta… ci siamo precipitati e abbiamo trovato una persona del luogo, con un abito monastico (ma non era un sacerdote precisò) che stava spegnendo le luci per andarsene. Io emozionatissima non potevo credere di dover rinunciare alla possibilità inaspettata di entrare… . Deve averlo capito infatti subito riaccese le luci e mi disse di fare tranquillamente la mia visita che intanto lui aveva da fare.
Era magnifica e anche complessa: erano due chiese una, la parte sinistra, molto antica: “la pieve romanica più antica, era grande appena un quarto della chiesa arrivata fino a noi. Prese il posto di un edificio romano preesistente, un tempietto pagano che, all’avvento del cristianesimo, fu dedicato a Santa Maria… fu amministrata dai monaci benedettini che già nel 1115 ne documentarono l’esistenza citandola tra le dipendenze della vicina abbazia di Sant’Eutizio di Preci, come “Plebs S. Marie de Cample cum earum pertinentiis…” e come “Plebania S. M. de Camplo” (da Wikipedia)
Fu ricostruita più volte perché il terremoto la rovinò più volte e ogni volta veniva aggiunto qualcosa: prima allungata e dopo il 1328 con la giunta di un altare e poi nel 1463 una iconostasi con tre archi completamente dipinta dagli Sparapane, pittori locali molto prolifici e apprezzati. Nella parte posteriore della iconostasi una scaletta e una porticina permettevano di salire (pare in cambio di un obolo) al piano superiore dove si trovava un crocifisso miracoloso….
L’iconostasi è protetta da una robusta centinatura, messa dopo uno dei terremoti recenti (1979? 1998?)… Il mio benemerito custode mi dice che non si sono trovati i soldi, tanti, forse 200.000 euro, per i restauri e allora resta così… Mentre io mi aggiro nella chiesa lui va stringendo i bulloni dell’armatura… (alla prima scossa del 24 agosto ho pensato: che fortuna, almeno era rimasta la protezione… Ma non è bastata…)
La popolazione aumentava così alla prima costruzione nel 1528 venne accostata una grande aula spoglia di qualunque decorazione pavimentata a “schiasse”, grandi lastre quadrangolari di pietra locale, sulle quali è inciso, in grandezza naturale, il disegno di come avrebbe dovuto essere il campanile (progetto che non fu mai realizzato).
Il mio prezioso custode mi dice che era un modo per sollecitare le donazioni dei fedeli per realizzare l’opera; ce n’è un esempio anche a Ponte dove c’è inciso il progetto del magnifico rosone…
Ed ecco spiegato il perché della chiesa “doppia”: intelligentemente, nello stile sobrio e parsimonioso dei montanari, non fu toccata la facciata più antica, ma gli fu affiancato un secondo portale e un rosone simili ai primi e il tutto è stato raccordato con un portichetto sorretto da pilastri un po’ sgraziati, ma in fondo il tutto è armonioso anche se non perfettamente simmetrico. Fatico a scegliere il tempo dei verbi del racconto, incerta sempre fra “è” ed “era”… Era, era!
Tutto ciò, una vera e propria antologia della religiosità del luogo, è andata distrutta, sbriciolata.… La chiesa, già seriamente danneggiata e dichiarata inagibile dopo il sisma del 24 agosto, è crollata in parte il 26 ottobre, e completamente il 30 ottobre. Dopo le prime scosse era stato avviato lo studio delle opere necessarie alla messa in sicurezza, ma non è stato concluso e attuato in tempo. I primi di novembre sono stati ritrovati e messi in salvo nel deposito allestito a Spoleto il crocifisso ligneo e un affresco. Si tenterà il recupero dei frammenti degli affreschi e della iconostasi rimasta sotto le macerie (da Wikipedia)
Confesso che dal 24 agosto del 2016 faccio davvero fatica a guardarle queste foto e non sono più riuscita a passare di lì, a fare la strada che facevamo decine di volte in un anno. Vedere quel mucchio di pietre e polvere mi farebbe stare ancora più male. Era bella, era unica.
le foto più belle non sono mie, in gran parte vengono da qui e ne ringrazio Silvio Sorcini e anche da qui