Tempo di fare canestri

cestaio al lavoro campagna marchigiana ph.Giorgio Bellagamba

cestaio al lavoro, campagna marchigiana – ph.Giorgio Bellagamba

L’inverno è un tempo di riposo per la terra e di conseguenza anche per i contadini. Di riposo, ma non di ozio infatti un tempo era il tempo dei lavori al riparo, dei piccoli lavori di manutenzione degli attrezzi e anche della costruzione dei cesti.

A suo tempo lungo i fossi erano stati tagliati i venchi, i rami sottili e flessibili dei salici e poi erano stati messi da parte per quando, l’inverno, al calduccio relativo della stalla, ci si metteva in compagnia a fare cesti, gavagni, canestri, gerle, panieri, sporte, crini…  Un lavoro meno faticoso certo di quello nei campi, ma non meno utile.  Adesso per noi un cestino di vimini è un oggetto decorativo, di arredo; ne abbiamo quasi in ogni casa, ma nel mondo prima dell’avvento della plastica i contenitori di qualunque tipo, per i prodotti dell’orto e quelli del campo, per trasportare e contenere  erano cesti, di fogge e grandezze diverse a seconda degli usi, ma sempre fatti a mano con ramoscelli elastici e resistenti.

la gerla di Francesco F.

la gerla di Francesco Fioranelli

Dalle gerle di legna o di fieno che i montanari portano sulla schiena alle ceste per la raccolta dell’uva e delle olive, e i canestri di uova per il pollaio, al crino…  tutti fatti ingegnosamente a mano, tutti perfettamente adatti all’uso a cui servono, tutti inventati e costruiti  seguendo regole  modelli antichi e a volte, più raramente, con qualche fantasia.

il crino del museo di Senigallia

il crino del museo di Senigallia

Alcuni tipi di cesti non sono più usuali, sono diventati quasi incomprensibili, come per esempio il “crino” che nel museo della civiltà contadina di Senigallia è definito così: si usa rovesciato per trattenere i pulcini e la chioccia ed evitare che i piccoli si disperdano nel prato.

Ormai le stalle sono diventate tutta un’altra cosa, diversa da quella specie di “salotto” in cui si riunivano anche fra vicini e passavano ore tranquille, ma non inoperose, a chiacchierare mentre erano intenti chi a fare cesti, chi ad aggiustare attrezzi, a fare la maglia, a rammendare panni, a capare verdure… tutte cose che vedevo fare tanto spesso anni fa.

Adesso è difficile vedere all’opera un cestaio e così quando, qualche anno fa, passeggiando per il paese di Sepino ho visto questa scena mi sono fermata a guardare e ho cercato di attaccare discorso. Il signore ha continuato a lavorare, ma davanti al mio entusiasmo ha risposto benchè con una certa sobrietà, alle mie domande.

il burbero cestaio di Sepino

il burbero cestaio di Sepino

Ho subito chiesto di comprare un cesto, mi pareva ovvio che li facesse per venderli e invece no, mi rispose che lui non li vendeva, li faceva perché gli piaceva farli.  Non ricordo come, certo non con la violenza ma in cambio di qualche euro, poco dopo camminavo per Sepino con l’aria fiera tenendo in braccio il cesto conquistato.

Le persone che incontravo mi guardavano con una certa curiosità che io attribuivo al fatto che ero “forestiera” in un paese piuttosto piccolo dell’interno del Molise. Ho capito però che poteva esserci un’altra spiegazione quando ho raggiunto Giorgio al bar della Piazza centrale, sempre con il mio cestino in braccio.

La barista prima di chiedermi cosa volevo bere mi chiese. “Dove ha preso quel cestino?”  Io, un po’ stupita della domanda, anche leggermente seccata, glielo spiegai e lei:     “È mio padre, non li dà a nessuno, nemmeno a noi di famiglia. Gliene ho chiesto uno per Natale e  lui non me lo ha dato…”

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Abbiamo riso assieme del fatto che forse io con la mia abituale parlantina  dovevo averlo frastornato tanto che pur di togliermi di torno aveva ceduto. Ho sotto gli occhi ogni giorno quel cestino che mi ricorda Sepino, un incontro, un’arte semplice, utile e colta.

una immagine famosa, dalla pagina di "La campagna appena ieri"

una immagine famosa, dalla pagina di “La campagna appena ieri”

il deputato senza Licenza

Schermata 2019-09-05 alle 11.53.05Mi sono ricordata per caso di aver conosciuto da vicino un deputato del primo Parlamento Repubblicano. Si chiamava Pietro Reali e aveva una storia speciale, ma forse allora non era l’unico. Intanto era emigrato in Francia bambino con la sua famiglia e poi era dovuto rientrare quando suo padre, un anarchico molto attivo e spesso rissoso, fu espulso dalla Francia. Della sua famiglia Pietro era l’unico ad avere un nome  “normale” dato che era fratello di Idea,  di Rivolta e di Ferri di cui ho raccontato già.

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Questa é  la  foto che compare nella scheda nell’Archivio del Parlamento dove, alla voce  professione, si dice OPERAIO. Cosa che oggi raramente potrebbe succedere.  Ma quello che voglio ricordare è qualcosa che mi ha raccontato sua sorella Idea: quando fu eletto deputato, al momento di presentare i documenti si scoprì che non aveva il diploma di quinta elementare. Forse il documento era andato perso, forse era stato ottenuto in Francia e non valeva, forse… non aveva mai fatto le scuole regolari.

Fatto sta che scoprirono che secondo il Regolamento della Camera non si poteva essere eletti senza la Licenza elementare e così prima di essere ammesso in Parlamento dovette in fretta e furia passare un esame da privatista e ottenere il documento famoso.

Non che fosse un analfabeta, anzi. Ai suoi tempi essere colti e informati era un dovere per chi faceva politica, specie a sinistra, ma molto spesso erano autodidatti specialmente quelli che come Pietro Reali, venivano da famiglie poverissime.

Io l’ho conosciuto quando aveva appena terminato la sua seconda legislatura e la sua casa era foderata di libri; insistette per regalarmene alcuni raccomandandomi di leggere e di studiare perchè, disse, serve alla gente.

Oggi consultando l’archivio storico della Camera dei Deputati é possibile anche leggere quale è stata la sua azione, a quali Leggi ha dato il suo contributo… e pensare che non aveva la Licenza!

 

Carmelo Bene e la banalità quotidiana

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“La nostra società è disfatta, e la borghesia è morta, il teatro non esiste più… ci hanno anestetizzato, imbottito di tranquillanti, sono riusciti a non farci più reagire. Hanno proprio vinto gli imbecilli, gli idioti”.

Leggendo questa citazione di Carmelo Bene che mi è capitata per caso sotto gli occhi ho rivisto improvvisamente una scena accaduta molti anni fa, alla fine degli anni ’70.

Uscivamo alla mattina tutti cinque assieme per andare poi ognuno al suo lavoro in ufficio o a scuola. Succedeva a Jesi, piccola città della provincia marchigiana. Passavamo al bar sotto le Logge dove noi adulti ci bevevamo il caffè che a casa non facevamo in tempo a prendere, troppo indaffarati nella preparazione delle colazioni e la vestizione della “truppa”.

Le Logge si affacciano sulla piazza principale della cittadina come anche il glorioso Teatro Pergolesi.

Jesi : la piazza della Repubblica, il Teatro e le Logge

Jesi : la piazza della Repubblica, il Teatro e le Logge

Una mattina al bar ci siamo imbattuti in un gruppo di persone “forestiere”: erano Carmelo Bene e i suoi collaboratori che da qualche settimana utilizzavano il nostro teatro per le prove del loro nuovo spettacolo.

Un utilizzo un po’ strumentale che però è abituale: la compagnia famosa usava la struttura gratuitamente (e i costi dell’apertura di un teatro grande come questo non sono proprio leggeri) e in cambio la compagnia avrebbe poi offerto lo spettacolo come anteprima nazionale con una ricaduta notevole dal punto di vista pubblicitario data la presenza dei grandi critici e degli invitati famosi

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Insomma eravamo lì, le bambine con le cartelle che chiacchieravano fra loro e noi due a sorseggiare il nostro caffè… Il Maestro guarda la scena con occhio un po’ cisposo e il tono leggermente sarcastico della sua celeberrima voce dice ai suoi:

“Ecco, vedi, loro si sono svegliati da poco e noi invece andiamo a letto adesso…” sorrisini di commiserazione nel corteo dei sodali.

Insomma ci aveva dato dei poveri provinciali prevedibili e scontati, dei borghesucci senza fantasie.  Siamo andati tranquillamente ai nostri impegni quotidiani… . La mattina dopo, sempre al bar delle Logge a prendere il solito caffè.  Non c’è nessun gruppo di teatranti. Ne chiedo al barista:  

“Non sai? Questa notte Carmelo Bene è caduto dalla scala del palcoscenico e si è rotto una gamba… come capitava spesso pare non fosse proprio sobrio, …”

Theater Pergolesi, Night Landscape, Jesi, Ancona, Marche, Italy, Europe

Teatro Pergolesi, Jesi, Marche

Insomma le prove furono interrotte, lo spettacolo offerto all’Amministrazione del Teatro andò in fumo, noi continuammo banalmente ad andare al bar la mattina a prendere banalmente il nostro buon caffè e insomma ad essere sempre banalmente noi stessi, provinciali e tranquilli.

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