La scuola dove mi hanno insegnato ad insegnare: l’Istituto Magistrale Marzia degli Ordelaffi di Forlì.
Diventare maestra mi piaceva fin da piccola e comunque data la situazione economica della mia famiglia non avrei potuto fare altro. Allora, negli anni ’50 del secolo scorso (!!), l’istituto magistrale era una scelta quasi obbligata soprattutto per le ragazze che non avevano mezzi finanziari e non volevano scegliere un mestiere.
Quello che ho scoperto dopo è che quello dove mi iscrissero era fra tutti un istituto magistrale speciale, fra i più “blasonati”.
Per ogni attività c’erano aule e attrezzature specifiche molto probabilmente anche grazie al fatto che la scuola era ospitata in quella che fino alla caduta del fascismo, in fondo pochi anni prima, aveva ospitato l’Accademia dell’Areonautica
Ogni mattina cambiavamo aula almeno una volta: da quella di musica e canto corale, con sgabelli e senza banchi a quella di disegno, enorme, con una parete tutta di vetro e le altre tre fasciate di lavagne sulle quali a turno imparavamo a disegnare con i gessetti colorati per illustrare gli argomenti delle lezioni; intanto un’altra parte della classe su enormi tavoli inclinabili disegnava su carta.
Poi c’erano i laboratori di scienze naturali: botanica e zoologia con le raccolte sotto vetro e i microscopi dove ho passato parecchio tempo a osservare il contenuto delle gocce di acqua di una pozzanghera, a scrutare i movimenti delle cellule che si sdoppiavano.
E il laboratorio di fisica pieno di aggeggi dall’aria misteriosa di cui ci affascinava il funzionamento. Ricordo un episodio che avrebbe potuto trasformarsi in un dramma.
Il professore di fisica ci aveva illustrato nella lezione precedente il funzionamento della macchina elettrostatica di Wimshurst, inventata nel 1883 che ruotando riusciva a produrre cariche elettriche anche piuttosto notevoli, producendo poi piccoli fulmini.
Io avevo capito la lezione e la stavo illustrando ai compagni facendola ruotare più e più volte. Entrò il professore che mi ordinò seccamente di immobilizzarmi e di stare attenta a non toccare in nessun modo l’apparecchio. Mi allontanò e poi… fece scaricare la tensione con uno spettacolare lampo e strepito… Avrei potuto non essere qui. Molto molto interessante!
E c’era anche l’aula di chimica dove era inevitabile sentirsi un po’ alchimisti e fare combinazioni spesso innocue, a volte molto sorprendenti, qualche volta con un filo di rischio.
Ovviamente, data l’origine dell’edificio, per le attività motorie c’era più di una palestra e tutte ampie e attrezzatissime; la ginnastica era molto importante e ne studiavamo anche la didattica. Avevamo una scuola elementare molto vicina dove andavamo a fare tirocinio insomma a provare a fare gli insegnanti dal vero.
Ricordo un episodio buffo: avevamo avvertito l’insegnante della classe che seguivamo che avremmo dedicato la lezione all’insegnamento della marcia, dei cambi di direzione, della corsa… (In fondo le parate erano ancora lì, dietro l’angolo e la nostra insegnante ne aveva organizzate)
Al nostro arrivo trovammo che alla classe che avevamo scelto se ne erano aggiunte altre, le insegnanti evidentemente approfittavano volentieri della situazione, così per guidare l’attività venni scelta io che avevo, pare, una voce e un piglio adatto per cui mi trovai a fare muovere in complicati intrecci un centinaio di bambini, che ricordo contentissimi e molto collaborativi, nel cortile della scuola.
Quando feci notare alla mia prof che avevo bisogno del cambio dato che avevo la gola indolenzita lei mi allungò una caramella! Il risultato fu un ottimo voto in pagella anche se nell’attività fisica ero proprio una schiappa, non ero capace di saltare nemmeno 50 cm.
Quando ho cominciato a insegnare e quindi a frequentare tanti maestri, diplomati come me, sono rimasta sorpresa nello scoprire che non avevano mai frequentato un laboratorio e molti credevano che nel loro istituto nemmeno ce ne fossero…
Insomma in quella scuola avevano un’idea dell’insegnamento all’insegnamento (!!?) molto moderna, cercavano di insegnare a noi con il metodo attivo e concreto col quale poi noi avremmo dovuto lavorare con i bambini.
Ma la frequenza dell’uso dei laboratori non era l’unica “diversità” di quella scuola. Fra le materie di studio curriculari noi, credo unici o quasi in Italia, avevamo anche AGRARIA!
Può sembrare bizzarro, ma quando ne chiesi ragione mi spiegarono che la maggior parte di noi avrebbero cominciato la carriera in piccole scuole in campagna o in montagna (cosa che poi si verificò realmente, come ho raccontato) e dunque una forma di alfabetizzazione generale sul mondo dell’agricoltura ci avrebbe aiutato a entrare meglio in sintonia con l’ambiente dei nostri futuri alunni.
Di certo qualcuna di quelle nozioni mi è servita e mi ha aiutato a capire, soprattutto, come il lavoro dei contadini agisce sull’ambiente e il paesaggio.
Mi colpivano le parole, il lessico specifico, abbastanza curioso perché poco usato, come “girapoggio” o “cavalcapoggio” parole che descrivono il modo di orientare le piantagioni sulla collina…
Un vocabolo che ho sempre ricordato e solo dopo un viaggio nell’interno della Grecia sono riuscita ad usare con grande soddisfazione è GARIGA, che sarebbe questo paesaggio qui. Sono soddisfazioni!
E ancora per chi voleva c’era la possibilità di imparare a suonare uno strumento, a scelta, fra pianoforte e violino. Non ne avevo intenzione, ma accadde che…